
Beata Eustochio, la monaca padovana che sconfisse il Demonio!
Tra i luoghi della fede più significativi di Padova, e quindi di grande interesse nell'ambito del turismo religioso, c'è anche la Chiesa di San Pietro che ospita il corpo della Beata Eustochio, a cui è rivolta una manifestazione di devozione molto sentita.
La Padova meno nota è una continua sorpresa e, un ipotetico itinerario a Padova come questa “passeggiata nella vecchia Padova“, fuori dai consueti percorsi pensati per i turisti, potrebbe portarvi davanti all'antica Chiesa di San Pietro, già esistente nel IV secolo, dove riposa la Beata Eustochio.
Si tratta di un luogo che, sono certo, si rivelerà particolarmente interessante per pellegrini e per chi ama scoprire i luoghi della fede di una città.

Siamo nell'area occidentale del centro storico a due passi dalle acque del Tronco Maestro, il canale sul cui alveo, il fiume Bacchiglione entrava in città. In questa chiesa riposa la Beata Eustochio, la cui storia è sconosciuta a molti padovani.
La Beata Eustochio fu una religiosa padovana, esempio di grande forza, determinazione e soprattutto fede che, alla fine della sue breve vita, riuscì a sconfiggere il diavolo che si era impossessato del suo corpo fin dalla tenere età. Fu per questo motivo che venne “beatificata” e considerata oggi la protettrice di chi soffre di tribolazioni spirituali quali posseduti ed indemoniati vari, un punto di riferimento per i sacerdoti esorcisti di tutto il mondo oltre che per i fedeli che venerano il suo culto.
Il culto di Beata Eustochio è venerato tutt'oggi da moltissimi devoti. Sul muro della cappella dove è custodito il suo corpo, all'interno della Chiesa di San Pietro si possono vedere gli ex voto e i vari “Per grazia ricevuta”, a testimonianza del fatto che furono molti i miracoli e le richieste di grazia esaudite.
La vita della Beata Eustochio
Nacque con il nome di Lucrezia Bellini a Padova nel 1444 da un rapporto adulterino tra Maddalena Cavalcabò, monaca ed un signorotto locale, Bartolomeo Bellini. Il Monastero di San Prosdocimo era quantomai “chiacchierato” ed era risaputo che la comunità monastica viveva nell'immoralità ed era aperta alla vita mondana a tal punto che veniva definito un “lupanario di meritrici”. D'altra parte a Padova, nel Quattrocento a fronte di oltre 20 conventi di frati e 30 di monache su una popolazione di circa 30000 persone e moltissime chiese minori e parrocchie, la religiosità non era poi molta e la vita cristiana non così fervente, anzi dilagava la corruzione e la simonia, cioè l'entrata in convento per comodità, interesse e non per vocazione…come nel monastero di San Prosdocimo, nonostante lo sforzo e l'impegno della Badessa nel dare un freno a quel malcostume.
Una suora anziana, tale Suor Maiorino, pare spingesse le sorelle ad una vita dissoluta e lo stesso fece con la madre di Lucrezia, che viveva presso il monastero benedettino sul Monte Gemola sui Colli Euganei , oggi Villa Beatrice d'Este, spingendola a trasferirsi al monastero di Padova per facilitarne, a sua insaputa, l'incontro con il signor Bellini, già sposato, che viveva li vicino, come di fatto successe…Una volta incinta e fintasi ammalata fece ritorno al Gemola.
Al compimento del settimo anno di età il padre affidò Lucrezia al monastero dove visse la madre, quello di San Prosdocimo. Le monache di questo convento furono addirittura accusate di aver avvelenato la Badessa causandone la morte, sostengono gli storici dell'epoca. In questo posticino che non lasciava presagire nulla di buono viveva la piccola Lucrezia ed è poco dopo il suo ingresso in convento che iniziò a manifestare i segni di una “possessione” demoniaca che l'aveva colpita già anni prima, quando manifestava scatti d'ira e irrequietezza. Questa la versione della Chiesa, ovviamente.
Quando il vescovo, alla morte della Badessa, ordinò maggiore disciplina ottenne che tutte le monache lasciarono il convento ed i voti tranne Lucrezia che, mai distratta dalle attrazioni del mondo, scelse come ragione di vita la solitudine e la preghiera, in particolare alla Vergine Maria, a San Luca e a San Girolamo a cui era molto devota. Successivamente la raggiunsero in convento altre monache benedettine dal convento di Santa Maria della Misericordia, sotto la guida della badessa Giustina de Lazzara.
Il 14 gennaio 1461 Lucrezia Bellini riceve l'abito benedettino color nero con il nome di “Eustochio” prendendo il nome dalla fedele discepola di San Gerolamo e fu dopo questo momento che il “demonio” tornò a prendere il sopravvento su di lei facendole compiere atti inconsulti e violenti nei confronti delle consorelle e a violare la Regola. Fu addirittura legata ad una colonna per molti giorni e successivamente dovette sopportare sofferenze delle spirito e della carne, si ammalò di una malattia strana, fu incolpata di essere una strega e finì rinchiusa in carcere per 3 mesi a pane ed acqua. Eustochio continuò a lottare contro il maligno a forza di digiuni e preghiere, nonostante il suo corpo fosse in continua sofferenza e venisse colpita da continui conati di vomito ma riuscì a dimostrare le proprie virtù alle monache del convento fin quando il 25 marzo 1465 fu ammessa alla professione solenne e dopo due anni ricevette il velo nero delle benedettine. La sofferenza l'aveva segnata e ne aveva ormai debilitato il fisico, colpita anche da piaghe che ne avevano deturpato il volto da renderla irriconoscibile fino alla morte, il 13 febbraio 1469 alla giovane età di 25 anni ma dopo che il suo acerrimo nemico di tutta una vita, il demonio, abbandonò il suo corpo restituendole sorriso e bellezza.